giovedì 30 agosto 2007

Brutta cosa l'invidia

Scendendo a mensa, ieri, io e i miei colleghi abbiamo notato un cambiamento nei dipendenti (per la maggior parte ragazze, a dire il vero) del Customer Service, che sta al piano sopra al nostro.
Avevano tutti una specie di uniforme aziendale, costituita da una felpa, una polo o una camicia, con il logo del Customer Service e con delle mostrine identificative.
Giusto per fare un minimo di chiarezza, devo dire che io lavoro in una società del gruppo Fiat e il Servizio Clienti (così smetto di usare l'inglese) è una sorta di call center, al quale i clienti di tutto il mondo possono rivolgersi per richiedere assistenza.
Così ognuno dei colleghi con l'uniforme aveva una mostrina a strappo con la bandiera del Paese dal quale riceve le chiamate e, sull'altra spalla, un secondo strap con il logo del marchio dei veicoli per i quali presta assistenza (Alfa Romeo, Lancia, Fiat, Fiat Professional).
Potrà sembrarvi una sciocchezza, ma eravamo verdi di invidia e per una buona mezz'ora abbiamo sibilato parole infuocate tra i denti...
Un po' perché le polo, le felpe, ecc. sono proprio carine e un altro po' perché ci manca un certo spirito di identificazione. Visto che la mia società è accentrata a Torino, mentre noi siamo ad Arese, ci sembra sempre di venir snobbati e abbiamo sempre paura che da un giorno all'altro decidano di trasferirci. Come quando telefoni a colleghi di Torino e ti chiedono (non si sa quanto seri e quanto schernendo) "ma c'è ancora qualcuno ad Arese?"
Un altro po', infine, perché evidentemente l'invidia è anche maschio, infatti siamo praticamente tutti uomini.Dopo pranzo siamo saliti al piano del call center per il caffè (invece che starcene al nostro) e le colleghe ci hanno detto che avevano distribuito le uniformi perché in questi tre giorni stanno girando un filmato promozionale aziendale, tanto che era stato allestito anche un set di ripresa.
Per conservare un minimo di dignità, tra di noi ci siamo vantati di avere almeno la libertà di vestirci come ci pare.
Brutta cosa l'invidia...

mercoledì 29 agosto 2007

Gardaland!

Grande giornata a Gardaland, domenica.

Amici, divertimento, sole, velocità e senso del vuoto (ma con moderazione), forza centrifuga (tanta, grazie alle Kaffetassen), secchiate d'acqua sul Colorado (o forse "badilate", viste le dimensioni delle mani di Stefano)...

Ovviamente anche quest'anno ho lasciato perdere le attrazioni troppo "adrenaliniche", perché proprio non ce la faccio. Ma cosa si troverà, poi, in quel tipo di emozioni... Un po' ce lo siamo chiesti, vero Vale?

Tu ti chiedevi anche come funziona la Magic House; ho cercato su internet, ma non ho trovato molto, anche perché è stata una ricerca breve. Qualcuno però suggeriva, mentre tutta la stanza si muove, di tenere d'occhio la scritta EXIT sopra la porta: dovrebbe essere ferma in senso assoluto e dare l'idea di quanto in realtà dondolino le poltrone. L'anno prossimo proverò a ricordarmene.

Ho anche preso un po' di sole in viso, dopo un'estate pressoché anemica. A dire il vero la sera ero decisamente rosso, ma già ieri avevo un colore più umano. Tornando al lavoro, i colleghi appena rientrati pensavano fossi stato al mare...

Ultima nota, ho scoperto, dopo, che anche una nuova amica era a Gardaland lo stesso giorno; peccato non essersi trovati (ciao Sonia!). Per oggi è tutto, giusto due righe per stare in allenamento.

Ciauz!

mercoledì 22 agosto 2007

Quanto conta l'apparenza?

Conta tanto.

Parlando di apparenza, vorrei non cadere nel facile tranello di giudicare un modo di vivere, oggi diffuso, che sembra basarsi spesso sulla superficialità. Cercherò, invece, di esporre un ragionamento, secondo il quale è necessario fare i conti con il modo in cui le cose appaiono. E, ovviamente, con la maniera in cui ogni persona appare.

Oltre all'apparenza esiste anche una sostanza, che può essere in accordo o meno con l'aspetto. La sostanza, però, richiede più tempo e più conoscenza -più esperienza- affinché possa essere compresa. Realisticamente, tuttavia, non ci sono né il tempo né i mezzi per raggiungere la sostanza di tutte le cose, per comprendere in profondità tutte le persone e per decifrare ogni situazione.
Diventa quindi una necessità lo scegliere a quali situazioni, cose e persone dedicarsi. E qui acquista importanza l'apparenza, che è il mezzo con il quale ognuno di noi decide quali "sostanze" vuole raggiungere.

E' facile vederne degli esempi.
Quando si inizia una nuova amicizia o un nuovo amore, ci si basa sulle prime impressioni di affinità, gradevolezza, condivisione di interessi, di principi o di ambiti in cui si vive o si lavora, aspetto fisico...
Chi vuole assumere un nuovo dipendente, valuta i candidati in base a risultati conseguiti, esperienze precedenti, modo di porsi...
Se si deve intraprendere un viaggio, un corso di studi, se si deve scegliere un disco o un libro da acquistare, se si deve decidere quale pizza ordinare, ci si base sulle prime impressioni che i vari prodotti ci trasmettono.
Nessuno, però, può sapere, con questi pochi elementi, se sta facendo la scelta giusta. Solo il tempo, e cioé l'aver percorso il sentiero prescelto, potranno dare o meno una conferma.

Nel momento in cui dobbiamo operare una scelta, ci troviamo a valutare le varie possibilità in breve tempo e con pochi elementi, quindi in base a come ci appaiono, alla loro apparenza.

Non è dunque logico, nè tantomeno realistico, volersi convincere che l'apparenza non conti.

E' possibile, invece, ragionare sulla forma con cui apparire per ragguingere ciò che vogliamo e per spingere chi desideriamo a interessarsi di noi.

Io ero uno di quelli che pensava che l'apparenza non dovesse contare e che biasimava coloro che acettavano o rifiutavano al primo impatto, ma sono costretto a ricredermi, perché non si può dare una possibilità a tutte le persone e a tutte le cose. E' doveroso, dunque, curare la propria "immagine", ed è auspicabile fare unità tra la propria immagine e la propria sostanza.

Altra cosa, invece, è stabilire se l'apparenza inganni e quali parametri usare per collezionare le prime impressioni e valutare chi e cosa ci sta davanti.

lunedì 20 agosto 2007

Ho messo via (la negatività avanza)

"Ho messo via un po' di illusioni,
che prima o poi, basta così;
ne ho messe via due o tre cartoni
e comunque so che sono lì.
Ho messo via un po' di consigli,
dicono: è più facile;
li ho messi via perché a sbagliare
sono bravissimo da me."
(Ligabue, Ho messo via)

Oggi sono tornato in ufficio: è finita l'unica settimana di ferie di quest'estate. Sono stato a casa, perché non ho saputo, o voluto, organizzarmi per tempo.
Pressato da mia mamma ho messo a posto la mia stanza.
Io non ho "messo via", come dice la canzone, piuttosto ho "buttato via".
C'erano molte cose che occupavano un sacco di spazio e ingombravano, così sono finite nella spazzatura, dato che non mi sembrava utile tenerle. Oppure mi sembrava più utile fare spazio e liberarmene.
Appena finito mi sono sentito meglio. Mi sono sentito più pulito anch'io.
Ho ritrovato cose vecchie, degli ultimi dieci anni. A pensarci sono tanti. E ho rivisto com'ero e cosa ho fatto in tutto questo tempo.
E' stato senz'altro utile per quel proposito di ricostruire la mia immagine. Un possibile primo passo in questo bosco, infatti, può essere il guardare la strada che mi ha portato fin qui.
Ora, il giorno dopo, sento però anche un po' di nostalgia, per quello che fin qui ho perso, per quello che non ho fatto, per quello che mi è sfuggito. In una parola, credo di avere dei rimorsi.

"Ho messo via un po' di legnate,
i segni, quelli, non si può;
che non è il male nè la botta,
ma, purtroppo, è il livido.
Ho messo via un bel po' di foto,
che prenderanno polvere;
sia sui rimorsi, che rimpianti,
che rancori e sui perché."
(Ligabue, Ho messo via)

Tra le cose impensate che ho ritrovato c'era una "poesia", che, per quanto sciocca e banale, mi ha stupito: i pochi versi erano almeno tutti della stessa lunghezza!!!
La riporto qui sotto, cercando di vincere l'imbarazzo. Mi spiace, per chi la leggerà, che abbia anch'essa un'aria un po' triste e negativa (non ricordo cosa l'avesse ispirata): prendetela per quello che è.

Mi piove dentro e fuori dalla finestra
l'acqua scorre sui vetri e sull'anima
si riflette negli occhi e nella mente
e si allagano i piedi e la città.

Buona depressione a tutti, tanto è tutto il giorno che piove.

Ci sentiamo al primo raggio di sole.

sabato 18 agosto 2007

Vorrei sia uno specchio

Inizio questo blog con un gioco di parole.

Vorrei che esso "sia uno specchio", giocando con questa parola, per vari motivi.

Il primo è che mi piacerebbe sia un invito ed uno stimolo alla riflessione: così come lo specchio rimanda l'immagine di ciò che ha davanti, vorrei che possano emergere i pensieri che ho dentro. Allo stesso modo sarebbe bello che anche chi legge possa trovare in queste pagine un luogo per scrivere commenti e riflessioni.
Mi accorgo infatti che spesso, durante la giornata, mi soffermi a pensare a tante cose, lasciandomi prendere dal filo dei ragionamenti, per non trarne alla fine poi molto. Magari l'ordinare qui i pensieri, e aprirli ai commenti altrui, può far sì che diventino ragionamenti costruttivi e non fini a se stessi.

Il secondo motivo è che in uno specchio si può osservare anche la propria immagine. In quest'ultimo anno ho attraversato alcuni cambiamenti: mi sono laureato, ho iniziato un lavoro (e quindi ho lasciato persone e amici, per trovarne di nuovi), ho avuto una ragazza e poi ci siamo lasciati, le mie amicizie sono un po' mutate, convinzioni che avevo sono andate in crisi e, insieme, varie parti della mia spiritualità... Pensando a questo quadro sento la necessità di fare chiarezza e di riappropriarmi della mia immagine.

La terza motivazione è, con un ultimo gioco di parole, voler essere "lucido come uno specchio", inteso come "pulito". Cioè vorrei poter diventare il più onesto e trasparente possibile e fare unità tra ciò che ho dentro e l'immagine esteriore di me, intesa come i modi, i contegni, il rapporto tra ciò che faccio e ciò che penso, e così via.
Ho infatti l'impressione che le altre persone possano avere un'idea di me che non corrisponda del tutto a come sono in realtà o, se l'immagine corrisponde invece alla sostanza, forse sono io che non l'accetto. In ogni caso, c'è sempre stato qualcosa che ad altri non ho detto, oppure ho lasciato intendere cose solo parzialmente vere, quindi sento anche il bisogno di esercitare la mia onestà verso gli altri e verso me stesso. Vorrei "che il mio parlare sia sì, sì; no, no".

Mi rendo conto che siano tutti bei propositi, e non so se sarò in grado di rispettare le aspettative, però ci provo lo stesso.

C'è poi il titolo del blog: "Camminando nel bosco". Quando ho pensato di aprire questo spazio, mi è venuto in mente che un luogo dove facilmente ci si perde in pensieri è il bosco. E camminandovi si possono seguire le molte tracce che vi si trovano, per arrivare infine in posti che, dopo l'oscurità del bosco, sembrano ancora più belli.
E poi la citazione dantesca era irresistibile...

In questa introduzione trova spazio anche una riga riguardo la scelta del nickname che c'è nella descrizione dell'autore: Pip l'Ammazzadraghi.
Si tratta semplicemente del personaggio di una collana di libri con cui ho giocato quando ero più piccolo. L'autore è J. H. Brennan e la serie si chiama, in Italia, "Alla corte di Re Artù", anche se il titolo originale è "Grail Quest".
Ci sono molto affezionato e nei miei giochi già usavo questo nome. Chi fosse curioso può cercare nella rete chi sia Pip.

Per oggi è tutto. Il cammino inizia qui.