giovedì 27 dicembre 2007

L'isola del giorno prima (Umberto Eco)

"State meglio onorando vostro padre ora," disse Saint-Savin "ricordandone gli insegnamenti, che prima quando ascoltavate un cattivo latino in chiesa."
"Signor di Saint-Savin," gli aveva detto Roberto, "non temete di finire sul rogo?"
Saint-Savin si incupì per un istante. "Quando avevo più o meno la vostra età ammiravo quello che è stato per me come un fratello maggiore. Come un filosofo antico lo chiamavo Lucrezio, ed era filosofo anch'esso, e prete per giunta. E' finito sul rogo a Tolosa, ma prima gli hanno strappato la lingua e l'hanno strangolato. E quindi vedete che se noi filosofi siamo svelti di lingua non è solo, come diceva quel signore l'altra sera, per darci bon ton. E' per trarne partito prima che la strappino. Ovvero, celie a parte, per rompere coi pregiudizi e scoprire la ragione naturale delle cose."
"Quindi davvero voi non credete in Dio?"
"Non ne trovo motivi in natura. Né sono il solo. Strabone ci dice che i Galiziani non avevano nessuna nozione di un essere superiore. Quando i missionari dovettero parlare di Dio agli indigeni delle Indie Occidentali, ci racconta Acosta (che pure era gesuita), che dovettero usare la parola spagnola Dios. Non ci crederete, ma nella loro lingua non esisteva alcun termine adeguato. Se l'idea di Dio non è nota in stato di natura, deve dunque trattarsi di una invenzione umana... Ma non mi guardate come se non avessi sani principi e non fossi un fedele servitore del mio re. Un vero filosofo non chiede affatto di sovvertire l'ordine delle cose. Lo accetta. Chiede solo che gli si lasci coltivare i pensieri che consolano un animo forte. Per gli altri, fortuna che ci siano e papi e vescovi a trattener le folle dalla rivolta e dal delitto. L'ordine dello stato esige una uniformità della condotta, la religione è necessaria al popolo e il saggio deve sacrificare parte della sua indipendenza affinché la società si mantenga ferma. Quanto a me, credo di essere un uomo probo: sono fedele agli amici, non mento, se non quando faccio una dichiarazione d'amore, amo il sapere e faccio, a quanto dicono, buoni versi. Per questo le dame mi giudicano galante. Vorrei scrivere romanzi, che sono molto alla moda, ma penso a molti di essi, e non mi accingo a sciverne nessuno..."

Il codice del quattro (Ian Caldwell & Dustin Thomason)

L'onda d'urto dell'incidente non si era ancora spenta nella mia vita, ma già prima della morte di mio padre, avevo perso la mia fede nei libri. Mi ero reso conto che le persone colte condividevano un pregiudizio inconfessato, una segreta convinzione platonica che la vita che conosciamo non sia che un'immagine imperfetta della realtà. E che solo l'arte, come un paio di occhiali da vista, la può correggere. Gli studiosi e gli intellettuali che si raccoglievano attorno al nostro tavolo da pranzo sembravano nutrire una sorta di rancore nei confronti del mondo. Non riuscivano ad accettare l'idea che la nostra vita non segue la bella parabola che un buon autore costruisce per un grande personaggio letterario. Solo negli attimi di perfezione che nascono per puro caso, il mondo diventa effettivamente un palcoscenico. La banalità del reale li amareggiava.
Nessuno mai espresse il proprio pensiero in modo esplicito, ma quando gli amici e i colleghi di mio padre - tutti tranne Vincent Taft - vennero a trovarmi all'ospedale, con l'aria contrita per le recensioni infamanti che avevano scritto sul suo libro, incominciai a vedere quella verità come se fosse impressa a lettere di fuoco sulla parete che mi stava di fronte. Lo notavo nel momento in cui si avvicinavano al mio letto, tutti con in mano dei libri.
"Questo mi è stato d'aiuto quando mio padre è morto" disse il presidente del dipartimento di storia, mettendo sul vassoio della colazione 'La montagna dalle sette balze' di Merton.
"Auden mi è stato di grande conforto" disse una studentessa che doveva laurearsi con mio padre lasciandomi un'edizione tascabile delle sue poesie.
"Tu hai bisogno di qualcosa di forte" mi sussurrò un tale dopo che tutti se ne furono andati. "Altroché quella robetta."
Non sapevo neppure chi fosse. Mi lasciò una copia del 'Conte di Montecristo', che avevo già letto. Mi chiesi se pensasse sul serio che il desiderio di vendetta fosse il sentimento da rafforzare in quel frangente.
Mi resi conto che nessuno di loro sapeva venire a patti con la realtà. Esattamente come me. La morte di mio padre aveva una irrevocabilità drammatica, che deride le leggi che governavano le loro vite e che permettevano di reinterpretare ogni accadimento, di cambiare ogni finale. Dickens aveva scritto 'Grandi speranze' perché Pip potesse essere felice. Ma nessuno poteva riscrivere quanto era accaduto a me.

lunedì 10 dicembre 2007

Il peso delle parole (e non solo)

Ogni parola e ogni frase che si scrive o che si pronuncia ha un peso. Un po' dipende dal contesto in cui è inserita e da come l'autore e il destinatario la intendono, ma la parte maggiore dipende dalla parola in sè, che ha un preciso significato ed una sua sfumatura (che chi la usa la conosca oppure no).
Spesso rimango sconcertato da come le parole vengano usate senza badare al loro peso. Per esempio, tante persone che conosco usano alla leggera le parole "ti amo" (per non dire che ne abusano). Sono parole importanti per sè, soprattutto se riferite, come nella maggior parte dei casi, al rapporto di coppia (più che all'amore familiare o amicale). E lo sono da qualsiasi parte la si voglia vedere, considerando anche le culture e le credenze diffuse nella nostra società.
Forse sono io ad essere esagerato, ma sono deluso da come questa espressione sia sottovalutata o, magari, sia sottovalutato il sentimento. Mi sto arrogando il diritto di supporre i sentimenti degli altri e di giudicarli? Se sto cadendo in questo tranello, ovviamente non me ne sto rendendo conto, ma quello che più mi preme è di lanciare un avvertimento.
Ho detto "ti amo" poche volte in vita mia, ma sempre cosciente dell'importanza di quella frase, che implica impegno, responsabilità, libertà, esclusività, definitività.
Quando penso queste cose mi sento proprio estraneo e fuori posto.
I sentimenti pesano? O pesano troppo le mie fissazioni?

domenica 9 dicembre 2007

Il gioco del se

Chi non ha mai giocato al gioco del se? ...che altro non è che domandarsi come sarebbe l'oggi se qualcosa, nel passato, fosse andato diversamente: chissà cosa sarebbe successo se avessi fatto, se avessi detto, se fosse successo così invece che cosà, ecc.
E questo gioco, che in realtà non è un gioco, lo si fa per sentirsi delusi e rimpiangere qualcosa del passato.
Qualcuno può aiutarmi a scoprire come smettere di giocarci?
In effetti non so se si può. Una volta il mio amico Walter mi diceva che siamo fatti per patire, perché in qualsiasi situazione siamo capaci di trovare qualcosa che non va e di cui essere scontenti.
E allora ci si rifugia in un passato in cui sembrava di essere più felici.
Il passato è importante. E' dove affondiamo le radici che sostengono tutto il nostro essere di oggi. Però può essere anche una prigione, quando siamo schiavi dei ricordi.
In questo momento, alla televisione, c'è Tremonti, alla trasmissione di Fazio, che sta parlando di un sacco di cose interessanti, delle quali sarebbe bello ragionare per un pezzo: economia, globalizzazione, politica, cambiamento della società... Però mi scivolano via, perché riesco solo a pensare ad un recente passato, che mi tormenta e mi ribolle dentro.
Chissà come sarei oggi, se quella volta...

lunedì 3 dicembre 2007

Amo e odio

Odio (...in ordine sparso...)

1. La prepotenza
2. Chi non ascolta
3. L'incoerenza
4. Bagnarmi sotto la pioggia
5. La cattiva informazione
6. L'immaturità (in chi invece dovrebbe essere maturo, o quasi)
7. Il mio aspetto
8. Fare tardi la sera a tutti i costi
9. La fretta
10. Le esagerazioni
11. Le complicazioni
12. L'ostentazione
13. Il qualunquismo
14. Gli sprechi
15. Le costrizioni


Amo (...in ordine sparso...)

1. La giustizia
2. La tranquillità
3. Il the
4. La coerenza
5. La montagna
6. La voce di una certa ragazza e le sue mani
7. La Verità (ma la cerco ancora)
8. La musica
9. La torta pere e cioccolato di Vincenzo
10. La mia famiglia
11. L'entusiasmo
12. Impegnarsi in ciò a cui si tiene
13. La campagna al mattino e i suoi odori
14. L'open source
15. La responsabilità