giovedì 27 dicembre 2007

L'isola del giorno prima (Umberto Eco)

"State meglio onorando vostro padre ora," disse Saint-Savin "ricordandone gli insegnamenti, che prima quando ascoltavate un cattivo latino in chiesa."
"Signor di Saint-Savin," gli aveva detto Roberto, "non temete di finire sul rogo?"
Saint-Savin si incupì per un istante. "Quando avevo più o meno la vostra età ammiravo quello che è stato per me come un fratello maggiore. Come un filosofo antico lo chiamavo Lucrezio, ed era filosofo anch'esso, e prete per giunta. E' finito sul rogo a Tolosa, ma prima gli hanno strappato la lingua e l'hanno strangolato. E quindi vedete che se noi filosofi siamo svelti di lingua non è solo, come diceva quel signore l'altra sera, per darci bon ton. E' per trarne partito prima che la strappino. Ovvero, celie a parte, per rompere coi pregiudizi e scoprire la ragione naturale delle cose."
"Quindi davvero voi non credete in Dio?"
"Non ne trovo motivi in natura. Né sono il solo. Strabone ci dice che i Galiziani non avevano nessuna nozione di un essere superiore. Quando i missionari dovettero parlare di Dio agli indigeni delle Indie Occidentali, ci racconta Acosta (che pure era gesuita), che dovettero usare la parola spagnola Dios. Non ci crederete, ma nella loro lingua non esisteva alcun termine adeguato. Se l'idea di Dio non è nota in stato di natura, deve dunque trattarsi di una invenzione umana... Ma non mi guardate come se non avessi sani principi e non fossi un fedele servitore del mio re. Un vero filosofo non chiede affatto di sovvertire l'ordine delle cose. Lo accetta. Chiede solo che gli si lasci coltivare i pensieri che consolano un animo forte. Per gli altri, fortuna che ci siano e papi e vescovi a trattener le folle dalla rivolta e dal delitto. L'ordine dello stato esige una uniformità della condotta, la religione è necessaria al popolo e il saggio deve sacrificare parte della sua indipendenza affinché la società si mantenga ferma. Quanto a me, credo di essere un uomo probo: sono fedele agli amici, non mento, se non quando faccio una dichiarazione d'amore, amo il sapere e faccio, a quanto dicono, buoni versi. Per questo le dame mi giudicano galante. Vorrei scrivere romanzi, che sono molto alla moda, ma penso a molti di essi, e non mi accingo a sciverne nessuno..."

Il codice del quattro (Ian Caldwell & Dustin Thomason)

L'onda d'urto dell'incidente non si era ancora spenta nella mia vita, ma già prima della morte di mio padre, avevo perso la mia fede nei libri. Mi ero reso conto che le persone colte condividevano un pregiudizio inconfessato, una segreta convinzione platonica che la vita che conosciamo non sia che un'immagine imperfetta della realtà. E che solo l'arte, come un paio di occhiali da vista, la può correggere. Gli studiosi e gli intellettuali che si raccoglievano attorno al nostro tavolo da pranzo sembravano nutrire una sorta di rancore nei confronti del mondo. Non riuscivano ad accettare l'idea che la nostra vita non segue la bella parabola che un buon autore costruisce per un grande personaggio letterario. Solo negli attimi di perfezione che nascono per puro caso, il mondo diventa effettivamente un palcoscenico. La banalità del reale li amareggiava.
Nessuno mai espresse il proprio pensiero in modo esplicito, ma quando gli amici e i colleghi di mio padre - tutti tranne Vincent Taft - vennero a trovarmi all'ospedale, con l'aria contrita per le recensioni infamanti che avevano scritto sul suo libro, incominciai a vedere quella verità come se fosse impressa a lettere di fuoco sulla parete che mi stava di fronte. Lo notavo nel momento in cui si avvicinavano al mio letto, tutti con in mano dei libri.
"Questo mi è stato d'aiuto quando mio padre è morto" disse il presidente del dipartimento di storia, mettendo sul vassoio della colazione 'La montagna dalle sette balze' di Merton.
"Auden mi è stato di grande conforto" disse una studentessa che doveva laurearsi con mio padre lasciandomi un'edizione tascabile delle sue poesie.
"Tu hai bisogno di qualcosa di forte" mi sussurrò un tale dopo che tutti se ne furono andati. "Altroché quella robetta."
Non sapevo neppure chi fosse. Mi lasciò una copia del 'Conte di Montecristo', che avevo già letto. Mi chiesi se pensasse sul serio che il desiderio di vendetta fosse il sentimento da rafforzare in quel frangente.
Mi resi conto che nessuno di loro sapeva venire a patti con la realtà. Esattamente come me. La morte di mio padre aveva una irrevocabilità drammatica, che deride le leggi che governavano le loro vite e che permettevano di reinterpretare ogni accadimento, di cambiare ogni finale. Dickens aveva scritto 'Grandi speranze' perché Pip potesse essere felice. Ma nessuno poteva riscrivere quanto era accaduto a me.

lunedì 10 dicembre 2007

Il peso delle parole (e non solo)

Ogni parola e ogni frase che si scrive o che si pronuncia ha un peso. Un po' dipende dal contesto in cui è inserita e da come l'autore e il destinatario la intendono, ma la parte maggiore dipende dalla parola in sè, che ha un preciso significato ed una sua sfumatura (che chi la usa la conosca oppure no).
Spesso rimango sconcertato da come le parole vengano usate senza badare al loro peso. Per esempio, tante persone che conosco usano alla leggera le parole "ti amo" (per non dire che ne abusano). Sono parole importanti per sè, soprattutto se riferite, come nella maggior parte dei casi, al rapporto di coppia (più che all'amore familiare o amicale). E lo sono da qualsiasi parte la si voglia vedere, considerando anche le culture e le credenze diffuse nella nostra società.
Forse sono io ad essere esagerato, ma sono deluso da come questa espressione sia sottovalutata o, magari, sia sottovalutato il sentimento. Mi sto arrogando il diritto di supporre i sentimenti degli altri e di giudicarli? Se sto cadendo in questo tranello, ovviamente non me ne sto rendendo conto, ma quello che più mi preme è di lanciare un avvertimento.
Ho detto "ti amo" poche volte in vita mia, ma sempre cosciente dell'importanza di quella frase, che implica impegno, responsabilità, libertà, esclusività, definitività.
Quando penso queste cose mi sento proprio estraneo e fuori posto.
I sentimenti pesano? O pesano troppo le mie fissazioni?

domenica 9 dicembre 2007

Il gioco del se

Chi non ha mai giocato al gioco del se? ...che altro non è che domandarsi come sarebbe l'oggi se qualcosa, nel passato, fosse andato diversamente: chissà cosa sarebbe successo se avessi fatto, se avessi detto, se fosse successo così invece che cosà, ecc.
E questo gioco, che in realtà non è un gioco, lo si fa per sentirsi delusi e rimpiangere qualcosa del passato.
Qualcuno può aiutarmi a scoprire come smettere di giocarci?
In effetti non so se si può. Una volta il mio amico Walter mi diceva che siamo fatti per patire, perché in qualsiasi situazione siamo capaci di trovare qualcosa che non va e di cui essere scontenti.
E allora ci si rifugia in un passato in cui sembrava di essere più felici.
Il passato è importante. E' dove affondiamo le radici che sostengono tutto il nostro essere di oggi. Però può essere anche una prigione, quando siamo schiavi dei ricordi.
In questo momento, alla televisione, c'è Tremonti, alla trasmissione di Fazio, che sta parlando di un sacco di cose interessanti, delle quali sarebbe bello ragionare per un pezzo: economia, globalizzazione, politica, cambiamento della società... Però mi scivolano via, perché riesco solo a pensare ad un recente passato, che mi tormenta e mi ribolle dentro.
Chissà come sarei oggi, se quella volta...

lunedì 3 dicembre 2007

Amo e odio

Odio (...in ordine sparso...)

1. La prepotenza
2. Chi non ascolta
3. L'incoerenza
4. Bagnarmi sotto la pioggia
5. La cattiva informazione
6. L'immaturità (in chi invece dovrebbe essere maturo, o quasi)
7. Il mio aspetto
8. Fare tardi la sera a tutti i costi
9. La fretta
10. Le esagerazioni
11. Le complicazioni
12. L'ostentazione
13. Il qualunquismo
14. Gli sprechi
15. Le costrizioni


Amo (...in ordine sparso...)

1. La giustizia
2. La tranquillità
3. Il the
4. La coerenza
5. La montagna
6. La voce di una certa ragazza e le sue mani
7. La Verità (ma la cerco ancora)
8. La musica
9. La torta pere e cioccolato di Vincenzo
10. La mia famiglia
11. L'entusiasmo
12. Impegnarsi in ciò a cui si tiene
13. La campagna al mattino e i suoi odori
14. L'open source
15. La responsabilità

lunedì 26 novembre 2007

La conoscenza

"Così il bambino diventa artista,
e cioè a dire Esploratore.
In altre parole una persona che non sa dove va
ma che ha una idea presupposta di che cosa cerca.
Lungo il cammino l'esploratore si ferma
e segna su una carta il percorso già compiuto,
che è l'unico elemento certo del suo viaggio.
Davanti a sè, solamente l'ignoto e la scoperta."
(Daniele Oppi, "Il concepimento - La gestazione - Il parto - L'esperienza educativa - L'autonomia")

"Qual'è la cosa più importante nella vita? Se lo chiediamo a chi sta morendo di famo, ci dirà che è il cibo. Se rivolgiamo la stessa domanda a chi patisce il freddo, la risposta sarà il caldo. E se interroghiamo qualcuno che si sente solo, la sua replica sarà incentrata sulla fratellanza con altri uomini.
Ora, ammesso che tutte queste necessità siano soddisfatte, esiste forse ancora qualcosa di cui tutti gli esseri umani hanno bisogno? Per i filosofi, sì. Secondo loro un uomo non può vivere di solo pane. Certamente il cibo è indispensabile, e parimenti ognuno di noi necessita di amore e di attenzioni. Ma c'è ancora qualcosa di cui tutti gli uomini hanno bisogno. Tutti noi abbiamo la necessità di trovare una risposta a due domande: 'Chi siamo?' e 'Perché viviamo?' Chiedersi perché esistiamo non è un interesse occasionale: non sta sullo stesso piano del collezionare francobolli. Chi si interessa a problemi del genere si occupa di cose su cui gli uomini hanno discusso fin da quando sono apparsi su questo pianeta."
(Jostein Gaarder, "Il mondo di Sofia")

"Vivere soltanto in funzione di una meta futura è sciocco. E' sui fianchi delle montagne, e non sulla cima, che si sviluppa la vita. Ma evidentemente senza la cima non si possono avere i fianchi. E' la cima che determina i fianchi. E così noi saliamo..."
(Robert Pirsig, "Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta")

Ciò che importa a me: conoscere la Verità.

giovedì 22 novembre 2007

Giorno di pioggia

Penso di aver subito un torto, ma la cosa peggiore è che ho sentito la persona che me lo ha fatto consolare un altro, che ha subito la stessa cosa da una quarta persona.
Non so se sentirmi più arrabbiato o più deluso.
Forse ha fatto così perché in realtà non ha capito di avermi ferito, oppure lo sa, ma se ne frega.
...forse è proprio la natura umana ad avere un fondo di cattiveria.
Oggi piove davvero.
Perfino Stefino, l'ACE, non è più incazzato, perché ha avuto un figlio dalla sua compagna. Ci ha anche fatto vedere le foto. Mi sa che, se pure non lo do troppo a vedere, adesso sono io il più incazzato del branco.
Mentre tornavo a casa, stasera, ho anche stirato un animaletto. Sarà stato un topo o un riccio, non so. Ho visto una cosa tozza e, all'ultimo, mi è parso si sia mossa.
Mi spiace un sacco, anche se si fosse trattato di una ratto. E' comunque una creatura vivente, con una sua intelligenza, per quanto niente affatto paragonabile a quella di un uomo. Certo un animale non ha coscienza, ma forse si è reso conto che stava morendo. Ho sentito il rumore e la vibrazione sotto la ruota. Mi spiace proprio tanto.
Piove sul serio oggi...

lunedì 12 novembre 2007

Contro (Nomadi, Contro - 1993)

Contro i fucili, carri armati e bombe,
contro le giunte militari, le tombe,
contro il cielo che ormai è pieno, di tanti ordigni nucleari,
contro tutti i capi al potere, che non sono ignari.

Contro i massacri di Sabra e Shatila,
contro i folli martiri dell'IRA,
contro inique sanzioni, le crociate americane,
per tutta la gente che soffre e che muore di fame.

Contro chi tiene la gente col fuoco,
contro chi comanda e ha in mano il gioco,
contro chi parla di fratellanza, amore e libertà,
e poi finanzia guerre e atrocità.

Contro il razzismo sudafricano,
contro la destra del governo israeliano,
conto chi ha commesso stragi, pagato ancora non ha,
per tutta la gente ormai stanca che vuole verità.

Contro tutte le intolleranze,
contro chi soffoca le speranze,
contro antichi fondamentalismi e nuovi imperialismi,
contro la poca memoria della Storia.

Contro chi fa credere la guerra un dovere,
contro chi vuole dominio e potere,
contro le medaglie, all'onore e alla santità,
per tutta la gente che grida libertà.

venerdì 2 novembre 2007

Pensieri sparsi

Cuggiono, Domenica 28/10/2007

Cammino sotto una sfera azzurra di aria e sopra una sfera dura, corrugata dai monti e punteggiata dalle case che gli uomini hanno costruito.
Dove si trovano queste sfere? E dove posso andare camminandoci?



Rivoli, Lunedì 29/10/2007

Sono a cena con Danilo, il collega con cui partecipo al corso che ci vede in trasferta a Torino. Sugli altri tavoli del ristorante dell'albergo ci sono persone a gruppetti di due o tre e molte altre persone sole.
Per me può essere gradevole e quasi rilassante staccarmi dalla quotidianità, a patto che ciò avvenga raramente e comunque non in solitudine.
Ci sono altri per cui questa è la quotidianità; rappresentanti, venditori, consulenti, autisti e altri, che passano ogni giorno della settimana lavorativa lontano da casa e dagli affetti, spesso in solitudine.
E guardando le facce di queste persone, mi sembra di capire come possa nascere la ricerca di altri affetti, che porta spesso, o a volte, a ricercare una carezza mercenaria o un'abitudine nascosta.



Raccordo A4/A5 presso il Lago di Viverone, Martedì 30/10/2007

L'autunno nel cuore del Piemonte mi sembra l'archetipo dell'autunno.
Terreno ondulato dalle colline, sulle quali la foschia sembra un lenzuolo.
Boschi disordinati nella forma e nei colori, giallo, arancio, rosso, marrone, verde.
Cascine sperdute e paeselli dispersi nel paesaggio.
E' l'autunno della Resistenza dei nostri padri e dei nostri nonni.

mercoledì 31 ottobre 2007

Hasta la Vista!

Scrivo questa pagina su un computer con l'ultimo ritrovato di casa Microsoft: il famigerato Windows Vista!

Di primo acchito (a prima Vista, ah ah ah) non sembra un brutto sistema. E' colorato, ha una bella grafica, ha tante icone... ci sono un sacco si utility che cercano gli aggiornamenti, che proteggono il computer da qualsivoglia virus, spyware, malware, raffreddori, bronchiti e diavoli a quattro, ci sono tanti sfondi preimpostati, la musica precaricata, con Media Player che, a richiesta, può ricercare su internet informazioni sul brano, copertine dei dischi... E chissà quante cose ci sono che non ho ancora scovato.

Ma quanto "costa" tutto ciò?
Sicuramente c'è un tempo di caricamento del sistema che è il più lungo mai visto.
Poi, ogni volta che vuoi installare un programma e lanciare degli eseguibili, la protezione ti chiede se sei sicuro e se il software ha una provenienza non sospetta. Spero si possa disabilitare questa opzione, altrimenti sarebbe davvero uno strazio...
Poi ci sono un sacco di programmi che non sono compatibili con il nuovo sistema.
Insomma, facendo una prima valutazione, mi viene da dire che Vista sia un sistema "carino", ma non del tutto funzionale o, almeno, non adatto a uno come me, abituato ad ambienti decisamente più spartani (questa, almeno, è la versione educata).

Ho dunque chiesto informazioni al sistemista dell'ufficio dove lavoro, il quale mi ha dato una panoramica non proprio entusiasmante.
Innanzitutto ha rimarcato le osservazioni che ho appena fatto su pachidermicità e lentezza, tali da ridimensionare facilmente anche certi computer con memorie mostruose, come se ne trovano in commercio oggi.
Poi mi ha fatto notare che nella maggior parte dei casi, il sistema, già installato, non viene fornito con il solito CD o DVD di accompagnamento. E allora dove sta questo benedetto software, del quale si è pagata regolare licenza? ...ovvio, sta nella partizione fantasma del tuo disco rigido!
Quindi, per ricapitolare, il 99% dei computer (dei portatili, se non altro) viene venduto con Vista già installato; non viene fornito un CD, ma si occupa una ventina di Giga del disco rigido che tu hai pagato per intero (e per inciso un CD verrebbe a costare al costruttore del computer solo qualche centesimo).
Se allora qualcuno non apprezza Vista, perché non lo cancella e non installa qualcosa d'altro?
Sempre il mio amico sistemista mi ha detto come si dovrebbe fare... e mi è scappata la voglia solo a pensarci.
Per prima cosa si dovrebbe formattare il disco C. Ma non è detto che basti, infatti se la "partizione fantasma" è posizionata fisicamente prima di C, occorre cancellare l'intero disco rigido. Poi si deve installare il sistema che più si preferisce e dunque i driver di tutte le periferiche. Ho dimenticato di dire che il costruttore di computer portatili rende disponibili in rete i driver per i suoi prodotti...peccato che siano solo driver per Windows Vista!!! Ciò che serve potrebbe essere reperibile sui siti dei singoli costruttori delle singole periferiche. Si può allora cercare facilmente i driver...solo dopo aver fatto il censimento delle periferiche presenti nel computer.
Il tutto sembra in ordine, però non è detto che dopo questa procedura estenuante, il tutto funzioni bene. E' allora meglio, prima di imbarcarsi in una simile impresa, fare una copia del proprio disco rigido, così da avere la possibilità, in caso di fallimento, di ripristinare ciò che c'era prima. Un particolare: oggi i dischi sono grandi almeno 100 Giga, e si deve trovare un posto dove parcheggiare la copia (di uguale dimensione) mentre è in corso la "bonifica" del computer.

Fatto sta che dopo questa descrizione intricata, che potrebbe anche essere poco comprensibile (e nel caso me ne scuso), sono arrivato alla conclusione che è assai meno faticoso imparare a convivere con Vista; d'altra parte l'essere umano si abitua pressoché a tutto.

Resta il fatto che installare Vista in quasi tutti i nuovi computer, posizionando il sistema in una parte occultata della memoria (che, ribadisco, è stata pagata per intera, insieme alla licenza di Vista) e costringendo a simili peripezie nel caso si volesse cambiare il sistema operativo, mi sembra proprio una violenza degna di un regime dittatoriale, al quale il mondo del software sta somigliando sempre più.

Alternative ce ne sono: andare a cercare con il lanternino quelle serie opzionali di computer che il fabbricante vende senza nessun programma installato al loro interno, oppure comprare un costoso Mac, che comunque ha il suo proprio sistema operativo preimpostato e pure imposto dal costruttore (anche se per ragioni diverse e forse più razionali).

Perché il mondo informatico non si ribella? Apatia? Quieto vivere? Paura di tempi biblici per avere uno straccio di sentenza dell Antitrust?
...o forse è come nel dialogo che ho ricopiato su queste pagine tempo fa (tratto da Neon Genesis Evangelion): si accetta una restrizione della libertà pur di avere ansie in meno dovute alla troppa libertà: scegliere un sistema operativo, installarselo, tenerne da parte una copia nel caso un domani servisse, tenere una copia dei driver delle periferiche e dei programmi principali, cercare gli aggiornamenti...insomma, USARE IL COMPUTER...

martedì 16 ottobre 2007

Il pendolo di Foucault (Umberto Eco)

Fummo interrotti da un tipo di una quarantina d'anni, che portava una giacca di alcune misure più ampia, pochi capelli biondo chiari che gli ricadevano su due sopracciglia folte, altrettanto gialle. Parlava in modo soffice, come se educasse un bambino.
"Mi sono proprio stancato di quel Vademecum del Contribuente. Dovrei riscriverlo tutto e non ne ho voglia. Disturbo?"
"E' Diotallevi," disse Belbo, e ci presentò.
"Ah, è venuto a vedere i Templari? Poverino. Senti, me ne è venuta in mente una buona: Urbanistica Tzigana."
"Bella," disse Belbo ammirato. "Io stavo pensando a Ippica Azteca."
"Sublime. Ma questa la metti nella Poziosezione o negli Adynata?"
"Adesso dobbiamo vedere," disse Belbo. Frugò nel cassetto e ne trasse dei fogli. "La Poziosezione..." Mi guardò, notando la mia curiosità. "La Poziosezione, lei m'insegna, è l'arte di tagliare il brodo. Ma no," disse a Diotallevi, "la Poziosezione non è un dipartimento, è una materia, come l'Avunculogratulazione Meccanica e la Pilocatabasi, tutti nel dipartimento della Tetrapiloctomia."
"Cos'è la tetralo..." azzardai.
"E' l'arte di tagliare un capello in quattro. Questo dipartimento comprende l'insegnamento delle tecniche inutili, per esempio l'Avunculogratulazione Meccanica insegna a costruire macchine per salutare la zia. Siamo incerti se lasciare in questo dipartimento la Pilocatabasi, che è l'arte di scamparsela per un pelo, e non pare del tutto inutile. No?"
"La prego, adesso mi dica che cos'è questa storia..." implorai.
"E' che Diotallevi, e io stesso, stiamo progettando una riforma del sapere. Una Facoltà di Irrilevanza Comparata, dove si studino materie inutili o impossibili. La facoltà tende a riprodurre studiosi in grado di aumentare all'infinito il numero delle materie irrilevanti."
"E quanti dipartimenti ci sono?"
"Per ora quattro, ma potrebbero già contenere tutto lo scibile. Il dipartimento di Tetrapiloctomia ha funzione preparatoria, tende ad educare al senso dell'irrilevanza. Un dipartimento importante è quello di Adynata o Impossibilia. Per esempio Urbanistica Tzigana e Ippica Azteca... L'essenza della disciplina è la comprensione delle ragioni profonde della sua irrilevanza, e nel dipartimento di Adynata anche della sua impossibilità. Ecco pertanto Morfematica del Morse, Storia dell'Agricoltura Antartica, Storia della Pittura nell'Isola di Pasqua, Letteratura Sumera Contemporanea, Istituzioni di Docimologia Montessoriana, Filatelia Assiro-Babilonese, Tecnologia della Ruota negli Imperi Precolombiani, Iconologia Braille, Fonetica del Film Muto..."
"Che ne dice di Psicologia delle folle nel Sahara?"
"Buono," disse Belbo.
"Buono," disse Diotallevi con convinzione. "Lei dovrebbe collaborare. Il giovanotto ha della stoffa, vero Jacopo?"
"Sì, l'ho capito subito. Ieri sera ha costruito dei ragionamenti stupidi con molto acume. Ma continuiamo, visto che il progetto le interessa. Che cosa avevamo messo nel dipartimento di Ossimorica, che non trovo più l'appunto?"
Diotallevi si tolse di tasca un foglietto e mi fissò con sentenziosa simpatia: "In Ossimorica, come dice la parola stessa, conta l'autocontraddittorietà della disciplina. Ecco perché Urbanistica Tzigana secondo me dovrebbe finire qui..."
"No," disse Belbo, "solo se fosse Urbanistica Nomadica. Gli Adynata riguardano un'impossibilità empirica, l'Ossimorica una contraddizione in termini."
"Vedremo, Ma cosa avevamo messo nell'Ossimorica? Ecco, Istituzioni di Rivoluzione, Dinamica Parmenidea, Statica Eraclitea, Spartanica Sibaritica, Istituzioni di Oligarchia Popolare, Storia delle Tradizioni Innovative, Dialettica Tautologica, Eristica Booleana..."
Ormai mi sentivo sfidato a mostrare di che tempra fossi: "Posso suggerirvi una Grammatica della Devianza?"
"Bello, bello!" dissero entrambi, e si misero a prender nota.
"C'è un punto," dissi.
"Quale?"
"Se voi rendete pubblico il progetto, si presenterà un sacco di gente con pubblicazioni attendibili."
"Te l'ho detto che è un ragazzo acuto, Jacopo," disse Diotallevi. "Ma sa che questo è proprio il nostro problema? Senza volerlo abbiamo tracciato il profilo ideale di un sapere reale. Abbiamo dimostrato la necessità del possibile. Quindi occorrerà tacere. Ma ora debbo andare."

martedì 2 ottobre 2007

Il coraggio

Che cos'è il coraggio? Perché si dovrebbe essere coraggiosi? Che male c'è nel non esserlo?

Una frase attribuita a Tucidide dice: "Sicuramente i più coraggiosi sono coloro che hanno la visione più chiara di ciò che li aspetta, così della gloria come del pericolo, e tuttavia l'affrontano".

In prima battuta mi sento in accordo con questo punto di vista. I requisiti che ne emergono sono, innanzitutto, l'aver coscienza delle situazioni e di sè e la responsabilità di ciò che si sceglie e si attua.
Entrambi mi sembrano approcci positivi. Soprattutto è importante la responsabilità ("...e tuttavia l'affrontano"), che fa parte del vivere in maniera adulta. Poi c'è la capacità di osservare in maniera critica ciò che ci sta intorno e ciò che c'è dentro noi stessi ("...hanno la visione più chiara di ciò che li aspetta...").
Prima domanda: la responsabilità la si ha o la si impara? Probabilmente tutte e due: dipende da come si cresce e dalla storia personale. Credo che lo stesso valga per la capacità di critica.
Ovviamente entrambe non sono semplici da imparare e ognuno sviluppa un proprio metro per osservare e con cui formulare e valutare la propria risposta.
Ne consegue dunque che il coraggio lo si possa imparare e coraggiosi lo si possa diventare.

Ma è meglio essere coraggiosi o è meglio non esserlo? Oppure è uguale? Perché? C'è una convenienza o è una questione morale? ...quante domande!

Francesco Guccini, nella canzone "Don Chisciotte", canta:

"Salta in piedi, Sancho, è tardi
non vorrai dormire ancora,
solo i cinici e i codardi
non si svegliano all'aurora:
per i primi è indifferenza
e disprezzo dei valori
e per gli altri è riluttanza
nei confronti dei doveri."

Da queste parole sembrerebbe che il coraggio sia un dovere.

Guccini non è certo La Verità, tuttavia spesso le persone sensibili, artisti e poeti, hanno una visione particolarmente ispirata e possono concorrere a creare gli ideali che, tanto per usare un'altra citazione, "sono come la stella polare: è irraggiungibile, ma indica la retta via".

Io non so se si debba essere coraggiosi, ma certo è significativo anche il modo con cui ci si esprime: SI DEVE/DOVREBBE essere coraggiosi, mentre SI PUO'/POTREBBE essere codardi.
Si attribuisce, cioé, un merito al coraggio e si vorrebbe non attribuire un demerito alla codardia. Sembra uno di quei modi che si trovano per autogiustificarsi o per dare conforto alle proprie miserie.
Saltando ad un argomento completamente diverso, questo mi fa pensare al problema religioso e mi suscita lo stesso effetto dell'idea di essersi creati un dio e una religione per trovare conforto in una vita difficile e non comprensibile.

Sono quanto mai confuso... questo è solo un "pensiero ad alta voce" e non ho certo la presunzione di trovare delle risposte o di affrontare un problema nel modo giusto.

Libertà Semplificazione Realtà

(da Neon Genesis Evangelion)

"Che cos'è questo? Un mondo dove non c'è niente? Un mondo dove non c'è nessuno? Il mondo della libertà. Libertà. Il mondo della libertà che non viene limitata da alcuno. Questa è la libertà? Esatto! Il mondo della libertà."

"Per contro non vi è nulla."
"Finchè io non penso."
"Esatto. Finchè tu non pensi."
"Non può essere. Io non so cosa devo fare."
"Provi ansia, vero?"
"Non hai immagine di te stesso, vero?"
"E' tutto troppo vago."
"E' un mondo dove non si può afferrare nulla."

Tale è la libertà.

"E' un mondo in cui puoi fare ciò che vuoi."
"Eppure tu provi ansia, vero?"
"Non capisci che cosa devi fare, vero?"
"Che cosa devo fare?"
"Ti darò una non libertà."
"Guarda, con questo sono nati il sopra e il sotto."
"Però con questo è sparita una libertà."
"Ora sei costretto a stare in piedi sul sotto."
"Però questo ti tranquillizza, perché il tuo animo ha ottenuto una semplificazione. E così puoi camminare."
"Tale è una tua volontà."
"La mia volontà? Sarebbe questo?"
"Il mondo che ti circonda è il mondo in cui esistono il sopra e il sotto."
"Ma in questo tu puoi camminare liberamente."
"E se lo volessi potresti anche cambiare la posizione del mondo."
"Quindi, anche la posizione del mondo non resta sempre la stessa."
"E' qualcosa che muta nello scorrere del tempo."
"E anche tu stesso puoi cambiare."
"Poichè a dare forma a te stesso sono il tuo stesso animo e il mondo che lo circonda."
"D'altronde questo è il tuo mondo. E' la forma della realtà che tu recepisci."

Tale è la realtà.

domenica 16 settembre 2007

Una lunga settimana...

Questa è stata una settimana lunga e faticosa, infatti non sono nemmeno riuscito a scrivere qualcosa qui.
Al lavoro ci sono un sacco di scadenze e sembra quasi mancare il tempo di fare tutto: tra riunioni con i fornitori, riunioni tecniche, tempo passato a correggere gli errori e i casini fatti dai consulenti esterni e relative incazzature...la giornata finiva (tardi) e avevo l'impressione di non aver concluso niente.
In questo marasma ci sono state due cose positive delle quali vorrei scrivere.
La prima è stata la serata di martedì, quando sono stato allo spettacolo di Benigni; la seconda, ieri, il matrimonio del mio amico Pietro, con il quale ho condiviso gli anni dell'università.
Lo spettacolo di Benigni è stato divertente e toccante allo stesso tempo, buffo e serio, classico e, contemporaneamente, mai banale e sempre fantasioso.
Ha cominciato con un monologo riguardante l'attualità. D'altra parte si trovava alla festa de l'Unità e non poteva esimersi dal fare un po' di satira politica. Sarò di parte, ma mi pare che riesca sempre a non essere mai eccessivo e scorretto, visto che si prende beffe praticamente di tutti, da Berlusconi a Calderoli, a Storace, a Mastella, a D'Alema.
La seconda parte dello spettacolo, invece, è il cuore del tour che sta facendo in questi mesi e riguarda la sua amata Divina Commedia; prima una spiegazione, coinvolgente e allegra, del quinto Canto (per intenderci, quello famoso di Paolo e Francesca) e poi la lettura, tutta d'un fiato, dello stesso Canto, dall'inizio alla fine, in un'atmosfera surreale, con tutto il palazzetto oscurato e una luce rossastra puntata su di lui.
A scuola non ho mai letto granché la Divina Commedia, anche perché non ho fatto degli studi classici. Il vedere, prima in tv e ora dal vivo, un comico, che ha sempre fatto satira o comunque ruoli assolutamente buffi, leggere le rime di Dante con quella passione e quel trasporto, mi ha davvero toccato.
Non credo sarebbe una buona idea perdermi nello scrivere impressioni e sentimenti provati durante la rappresentazione, sia perché sarebbero molto difficili da spiegare a chi non avesse presente il contesto, sia perché questo genere di sensazioni sono difficili da razionalizzare.
Ovviamente quando esci dallo spettacolo avresti subito voglia di andarti a leggere anche tutto il resto, però capisci che non sarebbe la stessa cosa, e l'approccio da usare, eventualmente dovrebbe essere un altro.
La cosa, invece, che ho portato a casa, per quanto anche questa sia una di quelle sensazioni complicate a cui mi riferivo prima, è l'aver capito, una volta di più, quanto sia importante quell'Amor che move il sole e l'altre stelle, pur non sapendo ancor bene di cosa si tratti esattamente.
Del matrimonio di Pietro scriverò un'altra volta, anche se ho la sensazione che pure esso possa essere legato a quanto ho appena detto.

sabato 8 settembre 2007

Andare per andare (Premiata Forneria Marconi, Ulisse - 1997)

Qualunque sia la verità, è il grande giorno ormai
c'é una via nelle mie mani, non mi tradirà
c'é un mondo che mi attira già in questa azzurrità
io non so se il pazzo sono io
o sei tu che rimani qua

Raccontano che le stelle già parlano di noi
e che l'anima mia vicine così non le ha viste mai

Andare per andare via, all'origine di noi
dove gli astri tramontano e non c'é gravità
Andare per andare via, non è solo una pazzia
se io chiedo di vivere all'uomo che c'è in me

Sarà dove sarà, ma ci sarà
se questa fantasia é la veritá
Segui l'onda... Segui l'onda...
Segui l'onda... Segui l'onda...

Qualunque sia la verità, vado a vedere ormai
al di là dell'orizzonte mio cosa mai
mi disseterà
lunari armonie nel calice blu dell'immensità
che disegnano vie, dolcissima possibilità

Andare per andare via, io non cerco una città
ma il confronto di un'anima con la sua libertà
Andare per andare, andare per andare via
dove non ti perdi mai
e si ostinano a vivere i grandi sogni miei

martedì 4 settembre 2007

Grido d'angoscia

Sono tormentato. Si sono scatenate mille domande, che mettono in discussione la mia vita e il mio modo di pensare, alle quali non so dare risposta.
E' incominciato stasera, quando, poco prima che uscissi dall'ufficio, un collega ha riferito di una riunione alla quale ha partecipato e la cosa che più mi ha colpito del suo racconto è l'arroganza, la prevaricazione e l'ingiustizia con cui molte persone trattano gli altri.
Nello scrivere queste righe avevo iniziato con l'esporre esempi su esempi, riguardanti molti aspetti della vita, ma mi sono reso conto che chiunque prova, o ha provato, sensazioni simili, probabilmente più volte. Così ho cancellato quell'inizio prolisso.
Ammettiamo anche che, con tali stati d'animo, si sia pessimisti oltre misura, ma non si può negare che l'ingiustizia, ad opera degli esseri umani, sia presente in larga misura, così come lo sia stata durante tutta la storia dell'umanità. E' anche facile stabilire che l'ingiustizia, seppur con espressioni diverse e in ambiti diversi, non sia né aumentata né diminuita, da quando l'essere umano ha mosso i primi passi.
Mi è venuto da pensare che sia connaturata nella natura umana, per quanto qualche individuo, con alterne fortune, abbia cercato di rimuoverla.
Con angoscia, allora, mi domando: quale via d'uscita c'è di fronte al male e all'ingiustizia, se vengono da dentro l'uomo? E' così un inferno l'esistenza?
La prima considerazione è dunque che, per quanto si possano modificare gli usi, le leggi e le società, per dare una risposta significativa al problema del male occorra modificare l'animo umano.
Ciò potrebbe essere fatto attraverso dei sistemi di pensiero, delle filosofie, delle religioni. Ve ne sono stati vari esempi nella nostra storia...
Cercando di affrontare il problema in maniera globale, potrei pensare che molte di queste filosofie e religioni potessero o possano modificare l'essere e l'agire.
Esse sono però tali che sia il singolo individuo a poter cambiare, ed esso poi possa sollecitare gli altri ad abbracciare gli stessi principi. La realtà ci insegna che, fino ad ora, non ci sono mai state filosofie e religioni che abbiano unito tutta l'umanità, anzi alcune di queste si pongono in netto contrasto con le altre, aumentando a volte l'ostilità.
Si potrebbe anche dire che nemmeno un valore sia o sia stato condiviso da tutta l'umanità insieme, pur nella diversità di pensiero.
Nemmeno uomini (e donne) di immensa statura sono riusciti a far accogliere un determinato messaggio in maniera universale: Gesù, Maometto, Buddha, Kant, Gandhi, Madre Teresa di Calcutta...
Un singolo individuo, dunque, potrebbe trovare la pace per sè, spostandosi in un determinato ambiente o comunità (o isolandosi) e rendendo la sua vita coerente.
Ma esiste una risposta globale al male e all'ingiustizia? E quale responsabilità ha il singolo individuo sul cammino di tutti gli altri verso la giustizia e l'eliminazione del male? E, nodo fondamentale, il male è univoco?
E' possibile, anzi probabile, che la risposta a questi interrogativi sia fuori dalla portata della ragione. Io, però, non riesco ad accettare che possa non esserci una Strada unica e definitiva, sebbene tutti i ragionamenti mi portino a pensare che il male sia inestirpabile dal mondo. E, in questo contesto, avanza in modo preoccupante l'idea, di per sè devastante, che la ragione sia limitata e, a completarla, le religioni non siano altro che un rifugio che l'uomo e la sua mente creano per poter dare risposta al problema del male.
Per quel che mi riguarda ho sollevato un bel polverone e, ad oggi, non riesco a vederci un'acca.

giovedì 30 agosto 2007

Brutta cosa l'invidia

Scendendo a mensa, ieri, io e i miei colleghi abbiamo notato un cambiamento nei dipendenti (per la maggior parte ragazze, a dire il vero) del Customer Service, che sta al piano sopra al nostro.
Avevano tutti una specie di uniforme aziendale, costituita da una felpa, una polo o una camicia, con il logo del Customer Service e con delle mostrine identificative.
Giusto per fare un minimo di chiarezza, devo dire che io lavoro in una società del gruppo Fiat e il Servizio Clienti (così smetto di usare l'inglese) è una sorta di call center, al quale i clienti di tutto il mondo possono rivolgersi per richiedere assistenza.
Così ognuno dei colleghi con l'uniforme aveva una mostrina a strappo con la bandiera del Paese dal quale riceve le chiamate e, sull'altra spalla, un secondo strap con il logo del marchio dei veicoli per i quali presta assistenza (Alfa Romeo, Lancia, Fiat, Fiat Professional).
Potrà sembrarvi una sciocchezza, ma eravamo verdi di invidia e per una buona mezz'ora abbiamo sibilato parole infuocate tra i denti...
Un po' perché le polo, le felpe, ecc. sono proprio carine e un altro po' perché ci manca un certo spirito di identificazione. Visto che la mia società è accentrata a Torino, mentre noi siamo ad Arese, ci sembra sempre di venir snobbati e abbiamo sempre paura che da un giorno all'altro decidano di trasferirci. Come quando telefoni a colleghi di Torino e ti chiedono (non si sa quanto seri e quanto schernendo) "ma c'è ancora qualcuno ad Arese?"
Un altro po', infine, perché evidentemente l'invidia è anche maschio, infatti siamo praticamente tutti uomini.Dopo pranzo siamo saliti al piano del call center per il caffè (invece che starcene al nostro) e le colleghe ci hanno detto che avevano distribuito le uniformi perché in questi tre giorni stanno girando un filmato promozionale aziendale, tanto che era stato allestito anche un set di ripresa.
Per conservare un minimo di dignità, tra di noi ci siamo vantati di avere almeno la libertà di vestirci come ci pare.
Brutta cosa l'invidia...

mercoledì 29 agosto 2007

Gardaland!

Grande giornata a Gardaland, domenica.

Amici, divertimento, sole, velocità e senso del vuoto (ma con moderazione), forza centrifuga (tanta, grazie alle Kaffetassen), secchiate d'acqua sul Colorado (o forse "badilate", viste le dimensioni delle mani di Stefano)...

Ovviamente anche quest'anno ho lasciato perdere le attrazioni troppo "adrenaliniche", perché proprio non ce la faccio. Ma cosa si troverà, poi, in quel tipo di emozioni... Un po' ce lo siamo chiesti, vero Vale?

Tu ti chiedevi anche come funziona la Magic House; ho cercato su internet, ma non ho trovato molto, anche perché è stata una ricerca breve. Qualcuno però suggeriva, mentre tutta la stanza si muove, di tenere d'occhio la scritta EXIT sopra la porta: dovrebbe essere ferma in senso assoluto e dare l'idea di quanto in realtà dondolino le poltrone. L'anno prossimo proverò a ricordarmene.

Ho anche preso un po' di sole in viso, dopo un'estate pressoché anemica. A dire il vero la sera ero decisamente rosso, ma già ieri avevo un colore più umano. Tornando al lavoro, i colleghi appena rientrati pensavano fossi stato al mare...

Ultima nota, ho scoperto, dopo, che anche una nuova amica era a Gardaland lo stesso giorno; peccato non essersi trovati (ciao Sonia!). Per oggi è tutto, giusto due righe per stare in allenamento.

Ciauz!

mercoledì 22 agosto 2007

Quanto conta l'apparenza?

Conta tanto.

Parlando di apparenza, vorrei non cadere nel facile tranello di giudicare un modo di vivere, oggi diffuso, che sembra basarsi spesso sulla superficialità. Cercherò, invece, di esporre un ragionamento, secondo il quale è necessario fare i conti con il modo in cui le cose appaiono. E, ovviamente, con la maniera in cui ogni persona appare.

Oltre all'apparenza esiste anche una sostanza, che può essere in accordo o meno con l'aspetto. La sostanza, però, richiede più tempo e più conoscenza -più esperienza- affinché possa essere compresa. Realisticamente, tuttavia, non ci sono né il tempo né i mezzi per raggiungere la sostanza di tutte le cose, per comprendere in profondità tutte le persone e per decifrare ogni situazione.
Diventa quindi una necessità lo scegliere a quali situazioni, cose e persone dedicarsi. E qui acquista importanza l'apparenza, che è il mezzo con il quale ognuno di noi decide quali "sostanze" vuole raggiungere.

E' facile vederne degli esempi.
Quando si inizia una nuova amicizia o un nuovo amore, ci si basa sulle prime impressioni di affinità, gradevolezza, condivisione di interessi, di principi o di ambiti in cui si vive o si lavora, aspetto fisico...
Chi vuole assumere un nuovo dipendente, valuta i candidati in base a risultati conseguiti, esperienze precedenti, modo di porsi...
Se si deve intraprendere un viaggio, un corso di studi, se si deve scegliere un disco o un libro da acquistare, se si deve decidere quale pizza ordinare, ci si base sulle prime impressioni che i vari prodotti ci trasmettono.
Nessuno, però, può sapere, con questi pochi elementi, se sta facendo la scelta giusta. Solo il tempo, e cioé l'aver percorso il sentiero prescelto, potranno dare o meno una conferma.

Nel momento in cui dobbiamo operare una scelta, ci troviamo a valutare le varie possibilità in breve tempo e con pochi elementi, quindi in base a come ci appaiono, alla loro apparenza.

Non è dunque logico, nè tantomeno realistico, volersi convincere che l'apparenza non conti.

E' possibile, invece, ragionare sulla forma con cui apparire per ragguingere ciò che vogliamo e per spingere chi desideriamo a interessarsi di noi.

Io ero uno di quelli che pensava che l'apparenza non dovesse contare e che biasimava coloro che acettavano o rifiutavano al primo impatto, ma sono costretto a ricredermi, perché non si può dare una possibilità a tutte le persone e a tutte le cose. E' doveroso, dunque, curare la propria "immagine", ed è auspicabile fare unità tra la propria immagine e la propria sostanza.

Altra cosa, invece, è stabilire se l'apparenza inganni e quali parametri usare per collezionare le prime impressioni e valutare chi e cosa ci sta davanti.

lunedì 20 agosto 2007

Ho messo via (la negatività avanza)

"Ho messo via un po' di illusioni,
che prima o poi, basta così;
ne ho messe via due o tre cartoni
e comunque so che sono lì.
Ho messo via un po' di consigli,
dicono: è più facile;
li ho messi via perché a sbagliare
sono bravissimo da me."
(Ligabue, Ho messo via)

Oggi sono tornato in ufficio: è finita l'unica settimana di ferie di quest'estate. Sono stato a casa, perché non ho saputo, o voluto, organizzarmi per tempo.
Pressato da mia mamma ho messo a posto la mia stanza.
Io non ho "messo via", come dice la canzone, piuttosto ho "buttato via".
C'erano molte cose che occupavano un sacco di spazio e ingombravano, così sono finite nella spazzatura, dato che non mi sembrava utile tenerle. Oppure mi sembrava più utile fare spazio e liberarmene.
Appena finito mi sono sentito meglio. Mi sono sentito più pulito anch'io.
Ho ritrovato cose vecchie, degli ultimi dieci anni. A pensarci sono tanti. E ho rivisto com'ero e cosa ho fatto in tutto questo tempo.
E' stato senz'altro utile per quel proposito di ricostruire la mia immagine. Un possibile primo passo in questo bosco, infatti, può essere il guardare la strada che mi ha portato fin qui.
Ora, il giorno dopo, sento però anche un po' di nostalgia, per quello che fin qui ho perso, per quello che non ho fatto, per quello che mi è sfuggito. In una parola, credo di avere dei rimorsi.

"Ho messo via un po' di legnate,
i segni, quelli, non si può;
che non è il male nè la botta,
ma, purtroppo, è il livido.
Ho messo via un bel po' di foto,
che prenderanno polvere;
sia sui rimorsi, che rimpianti,
che rancori e sui perché."
(Ligabue, Ho messo via)

Tra le cose impensate che ho ritrovato c'era una "poesia", che, per quanto sciocca e banale, mi ha stupito: i pochi versi erano almeno tutti della stessa lunghezza!!!
La riporto qui sotto, cercando di vincere l'imbarazzo. Mi spiace, per chi la leggerà, che abbia anch'essa un'aria un po' triste e negativa (non ricordo cosa l'avesse ispirata): prendetela per quello che è.

Mi piove dentro e fuori dalla finestra
l'acqua scorre sui vetri e sull'anima
si riflette negli occhi e nella mente
e si allagano i piedi e la città.

Buona depressione a tutti, tanto è tutto il giorno che piove.

Ci sentiamo al primo raggio di sole.

sabato 18 agosto 2007

Vorrei sia uno specchio

Inizio questo blog con un gioco di parole.

Vorrei che esso "sia uno specchio", giocando con questa parola, per vari motivi.

Il primo è che mi piacerebbe sia un invito ed uno stimolo alla riflessione: così come lo specchio rimanda l'immagine di ciò che ha davanti, vorrei che possano emergere i pensieri che ho dentro. Allo stesso modo sarebbe bello che anche chi legge possa trovare in queste pagine un luogo per scrivere commenti e riflessioni.
Mi accorgo infatti che spesso, durante la giornata, mi soffermi a pensare a tante cose, lasciandomi prendere dal filo dei ragionamenti, per non trarne alla fine poi molto. Magari l'ordinare qui i pensieri, e aprirli ai commenti altrui, può far sì che diventino ragionamenti costruttivi e non fini a se stessi.

Il secondo motivo è che in uno specchio si può osservare anche la propria immagine. In quest'ultimo anno ho attraversato alcuni cambiamenti: mi sono laureato, ho iniziato un lavoro (e quindi ho lasciato persone e amici, per trovarne di nuovi), ho avuto una ragazza e poi ci siamo lasciati, le mie amicizie sono un po' mutate, convinzioni che avevo sono andate in crisi e, insieme, varie parti della mia spiritualità... Pensando a questo quadro sento la necessità di fare chiarezza e di riappropriarmi della mia immagine.

La terza motivazione è, con un ultimo gioco di parole, voler essere "lucido come uno specchio", inteso come "pulito". Cioè vorrei poter diventare il più onesto e trasparente possibile e fare unità tra ciò che ho dentro e l'immagine esteriore di me, intesa come i modi, i contegni, il rapporto tra ciò che faccio e ciò che penso, e così via.
Ho infatti l'impressione che le altre persone possano avere un'idea di me che non corrisponda del tutto a come sono in realtà o, se l'immagine corrisponde invece alla sostanza, forse sono io che non l'accetto. In ogni caso, c'è sempre stato qualcosa che ad altri non ho detto, oppure ho lasciato intendere cose solo parzialmente vere, quindi sento anche il bisogno di esercitare la mia onestà verso gli altri e verso me stesso. Vorrei "che il mio parlare sia sì, sì; no, no".

Mi rendo conto che siano tutti bei propositi, e non so se sarò in grado di rispettare le aspettative, però ci provo lo stesso.

C'è poi il titolo del blog: "Camminando nel bosco". Quando ho pensato di aprire questo spazio, mi è venuto in mente che un luogo dove facilmente ci si perde in pensieri è il bosco. E camminandovi si possono seguire le molte tracce che vi si trovano, per arrivare infine in posti che, dopo l'oscurità del bosco, sembrano ancora più belli.
E poi la citazione dantesca era irresistibile...

In questa introduzione trova spazio anche una riga riguardo la scelta del nickname che c'è nella descrizione dell'autore: Pip l'Ammazzadraghi.
Si tratta semplicemente del personaggio di una collana di libri con cui ho giocato quando ero più piccolo. L'autore è J. H. Brennan e la serie si chiama, in Italia, "Alla corte di Re Artù", anche se il titolo originale è "Grail Quest".
Ci sono molto affezionato e nei miei giochi già usavo questo nome. Chi fosse curioso può cercare nella rete chi sia Pip.

Per oggi è tutto. Il cammino inizia qui.