giovedì 27 dicembre 2007

Il codice del quattro (Ian Caldwell & Dustin Thomason)

L'onda d'urto dell'incidente non si era ancora spenta nella mia vita, ma già prima della morte di mio padre, avevo perso la mia fede nei libri. Mi ero reso conto che le persone colte condividevano un pregiudizio inconfessato, una segreta convinzione platonica che la vita che conosciamo non sia che un'immagine imperfetta della realtà. E che solo l'arte, come un paio di occhiali da vista, la può correggere. Gli studiosi e gli intellettuali che si raccoglievano attorno al nostro tavolo da pranzo sembravano nutrire una sorta di rancore nei confronti del mondo. Non riuscivano ad accettare l'idea che la nostra vita non segue la bella parabola che un buon autore costruisce per un grande personaggio letterario. Solo negli attimi di perfezione che nascono per puro caso, il mondo diventa effettivamente un palcoscenico. La banalità del reale li amareggiava.
Nessuno mai espresse il proprio pensiero in modo esplicito, ma quando gli amici e i colleghi di mio padre - tutti tranne Vincent Taft - vennero a trovarmi all'ospedale, con l'aria contrita per le recensioni infamanti che avevano scritto sul suo libro, incominciai a vedere quella verità come se fosse impressa a lettere di fuoco sulla parete che mi stava di fronte. Lo notavo nel momento in cui si avvicinavano al mio letto, tutti con in mano dei libri.
"Questo mi è stato d'aiuto quando mio padre è morto" disse il presidente del dipartimento di storia, mettendo sul vassoio della colazione 'La montagna dalle sette balze' di Merton.
"Auden mi è stato di grande conforto" disse una studentessa che doveva laurearsi con mio padre lasciandomi un'edizione tascabile delle sue poesie.
"Tu hai bisogno di qualcosa di forte" mi sussurrò un tale dopo che tutti se ne furono andati. "Altroché quella robetta."
Non sapevo neppure chi fosse. Mi lasciò una copia del 'Conte di Montecristo', che avevo già letto. Mi chiesi se pensasse sul serio che il desiderio di vendetta fosse il sentimento da rafforzare in quel frangente.
Mi resi conto che nessuno di loro sapeva venire a patti con la realtà. Esattamente come me. La morte di mio padre aveva una irrevocabilità drammatica, che deride le leggi che governavano le loro vite e che permettevano di reinterpretare ogni accadimento, di cambiare ogni finale. Dickens aveva scritto 'Grandi speranze' perché Pip potesse essere felice. Ma nessuno poteva riscrivere quanto era accaduto a me.

1 commento:

Anonimo ha detto...

You write very well.